Shatlock spalancò la porta della camera da letto ed entrò come una furia.
-Esci di lì, vigliacco! Ti nascondi dietro le gonne di una dama come un infante. Vieni fuori, ti ho detto!-
Shatlock strappò via le lenzuola dal letto, spalancò il grande armoir dipinto, ribaltò l’ottomana drappeggiata di seta.
La stanza rimaneva silenziosa e Shatlock si grattò il mento perplesso. Restava da guardare nella stanzetta di comodo, la cui porta era posta a lato dell’armadio spalancato.
Shatlock esitava: per un gentiluomo quale lui era il fatto di violare alcuni limiti sfiorava il disonore; entrare nella camera dove una signora si dedicava alla propria toeletta senza alcun dubbio oltrepassava quella linea invisibile.
Ma l’idea che Branson si fosse nascosto lì, facendo proprio affidamento sul suo innato rispetto delle convenienze e delle regole, lo fece decidere altrimenti.
In due lunghe falcate raggiunse la porticina e a baffi frementi e mento sollevato la aprì.
Prima ancora di vederla udì l’urlo di madama Corinda.
-Mascalzone! Marrano! Come vi permettete? Fuori da qui! Aita! Aita!-
Shatlock, rosso in volto come neppure da bimbo gli era mai capitato, balbettando delle scuse indietreggiò e corse fuori dalla stanza.
Appena svoltato il corridoio si accasciò contro il muro e si strofinò a due mani il volto.
-Che stupido, stupido idiota che sono! Come ho potuto farlo? Entrare nel camerino di una signora! Senza neppure bussare! Idiota, mascalzone!-
Shatlock, così impegnato a rimproverare se stesso, non si avvide della figura che, rasentando la parete, usciva silenziosa dalla camera di madama Corinda.
Branson girò l’angolo e, prese le scale di servizio, scese nel cortile del castello.
Shatlock gli faceva veramente pena. Se fosse stato per lui si sarebbe fatto trovare anche subito, sdraiato sull’ottomana o intento a incipriare la schiena di Corinda.
Ma lei lo aveva guardato con un sorriso malizioso e gli aveva sussurrato: -Divertiamoci un po' alle sue spalle-, e Branson, come sempre, le aveva ceduto.
Ma comunque, povero Shatlock.
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