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Immagine del redattoreClaudia Bossi

Mors tua, vita mea

Ho un ricordo d'infanzia: mia bisnonna Graziella, pugliese, capelli ramati e occhi azzurri, la

La mia bisnonna Graziella

crocchia di capelli stretta sulla nuca, mi dice di toccare con la mano sinistra un piatto che contiene dell'acqua, ci versa dentro alcune gocce d'olio e poi mette a recitare una litania in una lingua sconosciuta (probabilmente foggiano stretto).


Ora, probabilmente la mia salute in quel periodo non era proprio al top, e lei aveva pensato bene di porre rimedio nell'unico modo che conosceva e praticava. 



Girando poi neanche molto in rete ho trovato questo video che ha avuto la potenza di un flashback in technicolor, 3D e Dolby surround compresi, La nonna di dj Kilfa esegue un antico rituale voodoo pugliese.


Cercare di trasferire la sfortuna, la malattia, i peccati dal proprio corpo a quello di altri è un tentativo antico come il mondo: l'uomo di Neanderthal sicuramente già si interrogava su come passare il suo mal di denti all'odiato vicino di caverna che faceva casino trascinando massi fino a notte fonda. E mentre è lì che ci pensa, con la sua scheggia di selce lavora un pezzo di legno sul quale poi sputa, così da trasmettergli tutta l'essenza del suo dolor di denti, e poi quatto quatto va a conficcare il legnetto davanti all'entrata della grotta vicina.

Ovviamente questa ricostruzione è del tutto inventata, ma se ci spostiamo un po' più avanti nel tempo abbiamo documenti che raccontano come l'uomo abbia usato tutti gli stratagemmi in suo possesso pur di passare la patata bollente, se così si può dire, a qualcun altro. 

Il principio che sottende alla pratica di trasferimento del male è che non c'è differenza tra ciò che è fisico, visibile e misurabile, e ciò che è immateriale, mentale: se io posso trasferire 10 chili di lastre di zinco dalle mie braccia alle tue (parlo per esperienza), e per questo non avere più dolore alle spalle (ce l'avrai tu...), allo stesso modo posso trovare il modo di passarti il mio mal di denti, la mia sfortuna con l'altro sesso, i miei peccati.

Oscar Wilde aveva capito tutto: scrivendo Il ritratto di Dorian Gray aveva realizzato un grande romanzo e un trattato antropologico.

Se andiamo un po' a zonzo nel mondo e nelle epoche troviamo veramente di tutto, ma per semplificare questa volta mi limito a raccontare come si provava (si prova) a trasferire il male ad altre persone; di animali e piante parleremo una prossima volta.

Persone

La persona alla quale veniva trasferito il male poteva esserne consapevole, o vittima inconsapevole. Gli sciamani, ad esempio, prendevano il male su di sé e poi, tramite riti di purificazione, lo lasciavano andare lontano dal villaggio. Anche le streghe facevano questo "servizio", naturalmente a pagamento: accoglievano la malattia nel loro corpo e poi la trasferivano ad animali, o anche ad oggetti inanimati. 

Nel Turkestan c'era un vecchio il quale si guadagnava da vivere unicamente assumendosi i peccati dei morti e pregando per loro.

Il capro espiatorio può quindi diventare una professione, come ci insegna anche il Benjamin Malaussène di Daniel Pennac (tutti i romanzi della serie di Belleville di cui Malaussène è protagonista sono bellissimi, consiglio di leggerli se non l'avete fatto).

Ma torniamo al nostro argomento. 

Mentre alcuni portano a casa la pagnotta prendendo su di sé il male, altri invece, come il vicino di caverna, sono vittime inconsapevoli del passaggio della malattia: nell'antica Roma, per curare la febbre si tagliavano le unghie all'ammalato e, impastatele con della cera, si attaccavano alla porta di un vicino, prima dell'alba. 

Anche Platone nella Repubblica si rammarica dell'usanza di far trovare figure di cera attaccate alla porta di casa, ai crocicchi delle strade o sulla tomba dei genitori. Il voodoo ci fa davvero un baffo...


Un altro trasferimento veniva effettuato scrivendo su un foglietto "Febbre, stai lontana, non sono in casa" e mettendolo in tasca a qualcuno. In altri casi il malato veniva lavato, e l'acqua usata veniva gettata in strada: il primo che ci camminava sopra  prendeva su di sé la malattia. Si poteva usare anche un vaso vuoto: chi ci inciampava si accollava la malattia, e i cocci erano suoi.

Questo passaggio della contaminazione, ma soprattutto l'atto dell'allontanare ciò che intossica, spaventa o comunque limita nell'azione avviene anche quando un uomo muore e la sua anima si trova sfrattata, alla ricerca di una nuova residenza... ma questa è una storia che racconterò più avanti.


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