Il filosofo francese Michel Foucault utilizzò il termine eterotopia per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano». Così a prima lettura la definizione può sembrare un po' macchinosa, ma detta in parole semplici, per usare l'esempio tra i più citati, eterotopico è lo specchio, che mostra ciò che in realtà non risiede in lui.
Lo specchio mostra un riflesso del reale, e inverte le coordinate spaziali, creando un non luogo alternativo allo spazio del mondo, in cui tutto è uguale, ma invertito e bidimensionale.
Certo, non quanto Magritte mostra nel suo dipinto, ma ci chiediamo qualche volta quanto conosciamo il nostro vero volto? Lo specchio riflette la nostra immagine, ma quanto di ciò che vediamo riprodotto su una superficie a due dimensioni può corrispondere ad una realtà tridimensionale? L'ipercubo della quarta dimensione (ne parleremo in un prossimo post) può essere solo parzialmente rappresentato in tre dimensioni, quindi la sua conoscenza è parziale, addirittura falsata se una minima variabile interferisce.
Quindi forse anche attraverso la conoscenza degli altri, nella loro tridimensionale realtà, posso arrivare a conoscere il mio vero aspetto. Guardando un altro guardo me stesso. Narciso rimirava e si innamorava del suo riflesso, ma era un sé irreale, bidimensionale, inconoscibile. O semplicemente lui non era pronto ad immergersi così a fondo nella conoscenza, a superare il confine tra le diverse dimensioni dell'essere.
Ci dobbiamo mettere al livello delle divinità dei miti della creazione, che formano l'universo emanandolo da se stesse, per conoscersi. Poiché forse era già chiaro anche a loro che nel riflesso c'è un luogo altro, un' altra identità, la soglia per un altro universo.
E chi può dire quale sia quello vero?
